giovedì 31 luglio 2008

RECENSIONE di Claudia Marinelli a IL VOLO INVISIBILE DEGLI ANGELI

Non posso dire che questo libro mi sia piaciuto senza remore. Le tre storie sono introdotte da una riflessione “filosofica” non sempre utile, ma il loro impianto narrativo è ben fatto. Il terzo racconto mi ha colpito perché parla di amore e di comprensione tra due donne, amiche distanti in età ma vicine per intelligenza e sensibilità. Sembrerebbe quasi che l'autrice sia cresciuta insieme alle sue tre storie, intendo cresciuta dal punto di vista letterario, sia come stile che come contenuti. Forse le tre storie sono state scrite in epoche diverse e poi l'autrice ha deciso di riunirle in uno stesso volume.
Le prime due storie, la cui trama è discretamente coinvolgente, peccano secondo me di alcune superficialità letterarie e potrebbero forse essere riguardate. Sopratutto la seconda storia, che racconta di un incontro amoroso fortuito e imprevisto, il classico colpo di fulmine, a mio avviso dovrebbe essere rivista per alcuni "giri di frasi" un po' troppo semplicistici. L'incontro e la sua descrizione mi hanno ricordato un po' i romanzi rosa, anche se l'autrice vuole spostare tutto ad un livello molto più intellettuale, "mistico" di fatto i due finiscono a letto insieme e la cosa viene descritta forse molto meglio che in un tipico romanzo rosa, ma sempre in modo da catturare l'attenzione del lettore. (E' un po' un trucco letterario questo di usare il sesso per tenere il lettore agganciato e funziona certamente, ma in un libro che si vuol interrogare sul senso della vita, a me sembra un po' una scappatoia). Forse questa seconda storia cronologicamente è stata scritta per prima. E questa protagonista, l'io narrante che si interroga e cammina un po' senza meta, perché sconvolta dall'incontro, poi di fatto fa sesso così su due piedi con uno con il quale aveva a malapena parlato. Va bene che entrambi hanno sentito l'amore eterno, va bene che c'è stata questa presa di coscienza ma, in letteratura queste cose succedono soltanto nei romanzi rosa, anche Isabel Allende usa questo trucco ripetutamente, ad esempio in "D'amore e d'ombra" però non ha l'ambizione, di scrivere dei romanzi sul senso profondo della vita. Mi hanno un po' colpito in negativo queste espressioni a p. 50 "ero a venti metri dal luogo del reato" (ma di che reato si tratta?) e "... e invece mi prese un colpo." Non credo che sia felice per un romanzo di letteratura esprimersi con espressioni così colloquiali, a meno che tutto il romanzo sia proprio scritto con uno stile colloquiale per ragioni intrinseche al romanzo.
La prima storia è molto carina e come la protagoniusta risponda al ragazzino che l'ha seguita un'ottima trovata.
La terza storia è di buona qualità, si parla di amore e per fortuna non è un amore omosessuale (perché va così di moda!) e non è un amore tra uomo e donna, ma l'amore sincero e libero e responsabile dell'amicizia che supera le barriere della differenza di età, di cultura e di lingua. Quest'ultima storia sembra molto più matura delle altre due anche dal punto di vista dello stile che non ha mai "cali" come nella seconda storia.
Ora esprimo un parere del tutto personale sulle introduzioni "filosofiche" dell'autrice. Personalmente le trovo inutili in un lavoro di narrativa. Le idee e convinzioni in narrativa secondo me dovrebbero esprimersi attraverso i personaggi, l'ambientazione e la trama. Inoltre un lavoro di narrativa non deve necessariamente portare un messaggio mistico sul senso della vita. Certe volte l'autrice "pontifica" dall'alto della sua per così dire consapevolezza e parla in modo generico a tutti i lettori come se tutti i lettori dovessero mancare appunto d'introspezione o di riflessione. Come ad esempio a p. 35 dove ci dice che noi (ma chi?) non sappiamo che cosa sia un abbraccio, che tradiamo ogni giorno la vita ecc... Onestamente come fa l'autrice a sapere che cosa c'è nei lettori che la leggono per affermare che questi lettori vivono senza riflettere, che non sanno cosa fanno ecc... ?
Mi ha ricordato Bambarén, che onestamente trovo poco avvincente, e forse, sotto sotto, tinto di una sottile arroganza, i suoi libri sono poveri dal punto di vista letterario in italiano e in inglese (non è un problema di traduzione) . Adriana Nicoletti non è arrogante, lei pone delle domande, però cade alle volte anche qui nella trappola del "pontificare". Non era meglio inventarsi un personaggio che viveva così senza riflettere, senza la coscienza del proprio corpo, farlo muovere, agire, parlare, interagire con altri personaggi e magari poi per qualche ragione di trama cominciare a fargli prendere cocienza di sé?

Claudia Marinelli

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